Nella città di El Fasher, assediata da 18 mesi, 260mila persone rischiano la morte per fame. Terminate anche le scorte del mangime per animali distribuito alla popolazione
Salvate a ogni costo i 260mila civili intrappolati e affamati ormai da 18 mesi senza speranza a El Fasher, capitale assediata del Nord Darfur, capitale dell’inferno. La metà di questi, 130mila, sono bambini. È il drammatico appello al governo italiano perché provi a chiedere una tregua e ad aprire corridoi umanitari protetti per salvare i civili lanciato ieri dai padri comboniani. I missionari chiedono solidarietà per il Sudan e provano a squarciare il velo di silenzio calato su un conflitto civile ignorato da media e comunità internazionale che ha provocato quella che per le organizzazioni internazionali è la più grande crisi umanitaria del pianeta con 14 milioni tra sfollati e profughi e 26 milioni di persone alla fame. E la situazione più difficile oggi è proprio ad El Fasher, ultima roccaforte dell’esercito sudanese opposto dall’aprile 2023 ai paramilitari delle forze di supporto rapido (Rsf). Il conflitto, scoppiato a seguito di una lotta di potere, è degenerato provocando migliaia di omicidi e stupri etnici e coinvolgendo potenze straniere (come gli Emirati Arabi Uniti, hub dell’oro di contrabbando dell’Africa) che guardano con avidità alle miniere, ai campi fertili e ai porti sul mar Rosso del Sudan. Il Darfur è ormai in mano alle Rsf che puntano a stabilire un governo parallelo a quello federale in una zona etnicamente “pulita” dalle tribù nilo sahariane e in mano alle tribù arabe, consolidando una partizione del Paese. Le Rsf e i suoi alleati sono stati accusati di ondate di violenza etnica in Darfur durante la guerra e gli Stati Uniti l’anno scorso hanno stabilito che avevano commesso un genocidio. «Decine sono le donne, gli uomini e i minori, anche piccolissimi – denunciano i comboniani nella lettera appello






